Associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione elettorale, tentato omicidio, porto e detenzione di armi da fuoco e di esplosivo, danneggiamento, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, minaccia, turbata libertà degli incanti, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, favoreggiamento personale, rivelazione di segreti d’ufficio. Una lista lunghissima e pesantissima quella dei reati contestati alle 59 persone destinatarie delle misurecautelari eseguite questa mattina dai carabinieri del Ros, nel corso di una grande operazione che ha visto la collaborazione dei militari della compagnia di Giugliano in Campania e dei comandi provinciali di Napoli e Caserta. Il provvedimento, emesso dal Gip del tribunale di Napoli su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea, colpisce persone che avrebbero favorito con le loro azioni le attività dei clan camorristici Puca, Verde e Ranucci, sodalizi operanti sul territorio del Comune di Sant’Antimo e nelle zone limitrofe. Tra i destinatari della misura, per 38 dei quali è stata disposta la detenzione in carcere, per altri 18 gli arresti domiciliari, per due la presentazione alla polizia giudiziaria e per uno la sospensione dai pubblici uffici, spiccano i tre fratelli del senatore di Forza Italia Luigi Cesaro.
Sugli indagati pesa un grave e variegato quadro indiziario, raccolto tra l’ottobre del 2016 e il gennaio 2019 dal reparto anticrimine di Napoli, sulla base di un presunto datato rapporto tra la famiglia Cesaro, noti imprenditori di Sant’Antimo, e il clan Puca. Gli inquirenti hanno riscontrato, in tal senso, quanto raccontato da numerosi collaboratori di giustizia, con riferimento a interessi e a partecipazioni del sodalizio mafioso nel centro polidiagnostico Igea e nella galleria commerciale Il Molino, entrambi con sede a Sant’Antimo, risultate essere società di fatto tra i Cesaro, che ne erano i formali titolari, e il boss Pasquale Puca, detto Pasqualino ‘o minorenne. Quando gli accordi presi tra le due parti erano venuti meno, esponenti del clan avevano reagito compiendo un attentato dinamitardo presso il centro Igea ed esplodendo cinque colpi di pistola contro l’auto di Aniello Cesaro, mentre questi era in sosta presso un autolavaggio. Il Gip ha riconosciuto un’emblematica imputazione per l’anziana madre di Pasquale Puca, destinataria della misura di presentazione alla polizia per il reato di ricettazione con l’aggravante del metodo mafioso: la donna, infatti, avrebbe nel tempo ricevuto del denaro dai fratelli Cesaro, frutto delle società di fatto esistenti tra gli imprenditori e il figlio.
Gli investigatori hanno inoltre accertato il condizionamento delle elezioni comunali tenutesi nel giugno 2017 a Sant’Antimo, Comune sciolto lo scorso 20 marzo per infiltrazioni mafiose, attraverso una capillare campagna di voto di scambio. In tal senso è stata fatta luce su un’incalzante opera di compravendita di preferenze, con una tariffa di 50 euro per ogni voto, a favore di candidati del centrodestra soccombente, come noto, al ballottaggio, dopo un primo turno favorevole. Il controllo del Comune di Sant’Antimo da parte della locale criminalità organizzata è risultato evidente anche dopo la tornata elettorale sfavorevole. A seguito della mancata affermazione elettorale, infatti, la strategia criminosa è stata finalizzata da un lato a far decadere quanto prima la maggioranza consiliare e, dall’altro, a mantenere il controllo sul locale Ufficio tecnico, nonostante la presenza di un’amministrazione di diverso colore politico, attraverso la conferma nel ruolo di responsabile dell’ingegner Claudio Valentino. In tale contesto, le indagini hanno fatto luce su due attentati dinamitardi, avvenuti il 20 novembre e il 4 dicembre del 2018, ai danni delle abitazioni di consiglieri comunali di maggioranza. Il fine dei malviventi era indurre i due a dimettersi dalla loro carica, cosa che avrebbe fatto venir meno il numero legale per il funzionamento del Consiglio comunale e determinarne l’automatico scioglimento.
Sono inoltre stati individuati gli autori di un terzo attentato esplosivo, commesso il 6 gennaio 2018, questa volta ai danni dell’abitazione dei familiari di Claudio Lamino, collaboratore di giustizia. È stata gettata luce anche sullo scopo e sui mandanti degli atti intimidatori condotti con la minaccia di armi nei confronti di alcuni funzionari del locale Utc di Sant’Antimo, al fine di dissuaderli dall’accettare l’incarico di dirigente del settore urbanistica. Proprio per quanto riguarda l’Utc, l’attività di indagine ha permesso di ricostruire un collaudato sistema di illecita gestione a cui era sottoposto nell’interesse delle tre consorterie camorristiche locali, sotto la guida di Valentino, che risulta indagato sia per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa per il clan Puca sia per episodi di corruzione e di turbata libertà degli incanti relativi a 4 gare a evidenza pubblica, dal complessivo valore di oltre 15 milioni di euro. Inoltre, le investigazioni hanno fatto luce sulle recenti evoluzioni interne al clan Puca e sulle interazioni con i Verde e i Ranucci, di cui il Gip ha confermato esistenza e operatività. Sono tre, infatti, le associazioni di tipo mafioso contestate: per il clan Puca, sono indagati Lorenzo Puca, Francesco Pio Di Lorenzo, Luigi Puca (25 anni), Antonio Ferriero, Nello Cappuccio, Antimo Puca, Giuseppe Di Domenico, Luigi Puca (58 anni), Francesco Di Spirito, Vincenzo D’Aponte, Giuseppe Garofalo, Teresa Puca e Pasquale Verde. Per quanto concerne il clan Verde, invece, figurano Agostino Russo, Camillo Petito, Domenico Di Lorenzo e Nicola Puca. Per il clan Ranucci, infine, le misure hanno colpito Francesco Scarano, Raffaele Femiano e Alessandro Ranucci.
Infine, le indagini hanno consentito di raccogliere indizi anche su illeciti rapporti tra due marescialli, già effettivi alla tenenza dei carabinieri di Sant’Antimo, e alcuni indagati. Il Giudice per le indagini preliminari ha disposto per un militare, già sospeso dal servizio all’esito di altra recente indagine, la misura della custodia in carcere e per l’altro, ora in servizio fuori provincia, la misura dell’interdizione dal pubblico ufficio. Il primo risponde dei reati di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, mentre il secondo del reato di favoreggiamento, aggravati dall’avere agevolato le attività illecite dei clan Puca e Verde. Contestualmente ai provvedimenti restrittivi, è stato notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore stimato di circa 80 milioni di euro. Si tratta di 194 beni comprendenti abitazioni civili, uffici, magazzini, autorimesse e 27 terreni ubicati tra le province di Napoli, Caserta, Frosinone e Cosenza. Oggetto della misura anche 9 società e 3 quote societarie, 10 autoveicoli e 44 rapporti finanziari. Tra i beni immobili spicca proprio la galleria commerciale Il Molino, con oltre 90 locali adibiti ad esercizi commerciali e uffici.
Il nome dei Cesaro era assurto agli onori delle cronache lo scorso 15 maggio, quando una richiesta di arresto ai domiciliari aveva interessato gli ultimi due presidenti della Provincia di Napoli, secondo la Procura di Torre Annunziata coinvolti in un caso di corruzione legato all’ex area Cirio di Castellammare di Stabia. Il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto tali misure nei confronti di una decina di persone, tra le quali spiccavano proprio Luigi Cesaro e Antonio Pentangelo, rispettivamente senatore e deputato al Parlamento italiano nelle file di Forza Italia.
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