di Mario Schiavone
di Mario Schiavone
Di cosa scrivi durante questa quarantena?
“Un diario personale. Questa quarantena si è stretta il bavero della mia camicia tra le mani, mi ha messo con le spalle al muro e poi mi ha sussurrato all’orecchio ‘Be’? Allora? Lo facciamo o no il punto della situazione sulla tua vita?’. Certamente, dal momento che me lo hai chiesto con tanta cortesia. A parte gli scherzi. Ho finito da poco un restyling del mio blog: colori nuovi, font nuovi, foto (poche) nuove. Ora è arrivato il momento di mettermi sotto con i contenuti che piacciono a me, quelli che riguardano la scrittura. La settimana scorsa sono ripartito proprio con alcune parti del diario che, a parere mio, potevano essere pubblicate. Sono finite nella sezione Pensieri del mio blog”.
Che cosa leggi?
“Martin Eden di Jack London. La descrizione del personaggio, le ragioni che lo spingono a scrivere, la sensazione rispetto al tempo che sembra non essere mai abbastanza per tutte le cose che ci sono da imparare. Per un asociale come me leggere di un marinaio con la vocazione dello scrittore che sente di essere quasi sempre fuori contesto è un toccasana. Intervallo il tutto con i racconti di Carver o qualche aneddoto sulla sua vita. Mi trovo nella fase letteratura americana”.
Raccontaci una cosa bella che ti è accaduta in questo periodo.
“Un attimo, fammici pensare. È una domanda difficile perché sto racimolando nei meandri della memoria le cose che in generale mi sono accadute. Sono evidentemente poche. Dunque, ci provo. Ho iniziato a imparare a perdonare alcuni lati di me che non mi piacciono. Come tutti non sempre riesco a codificare i messaggi del mio corpo rispetto alle cose che accadono e quando succede questo le mie reazioni sono soprattutto di chiusura. Così resto lì a rimuginare. In questi casi divento duro con me stesso e il tutto avviene senza che io me ne accorga. Credo di aver capito che questa reazione sia poco proficua perché poi diventi duro anche nei confronti degli altri. Aver iniziato a imparare a riconoscere le mie zone d’ombra, ma soprattutto a conviverci credo sia più sano. Questa la definirei una bella cosa che mi è capitata”.
Parlaci anche di una cosa brutta che hai vissuto in questo periodo.
“La finisci con le domande difficili? Una sera non mi sono accorto di essere a secco di birre in frigo. Non sono sicuro di riuscire a superare quell’esperienza”.
Come immagini “il dopo” tutto questo?
“Immagino un grande caos di automobili. Scherzo, è veramente difficile prevederlo. Certo è che l’essere umano si adatta, muta a seconda delle condizioni, siano esse positive o negative. Credo che essere costretti a stare con sé stessi è una bella prova e nella giusta misura questa pratica può essere catartica. Spero se ne ricorderanno tutti nel momento in cui si ricomincerà a correre. Insomma la mia risposta è una speranza più che una previsione: un mondo più riflessivo”.
Raffaele D’Ambrosio (Aversa, Caserta), è uno scrittore e blogger campano. Dopo il suo primo viaggio in solitaria avvenuto in Thailandia è diventato curioso dell’Asia. Da allora si è ritrovato in Oriente per intraprendere molti viaggi avventurosi. La storia, la boxe, la psicologia e la sociologia (insieme ai viaggi) sono le sue più grandi passioni. Di questi argomenti scrive sul suo Blog: Coffeepaper.it. Un suo recente racconto, Il pensiero di Bitto è stato pubblicato da Historica Edizioni nell’antologia nazionale Racconti Campani.
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