Il paradosso confermato da un medico di base: “Chi ha fatto il tampone da un privato deve recarsi all’Asl, anche se positivo”
Nonostante ci sia il rischio di infettare altre persone, bisogna spostarsi da casa per effettuare il test molecolare. Di Tommaso: "L'unico, al momento, che dà la certezza del contagio"
I pazienti che risultano positivi al tampone eseguito in un centro privato, anche se hanno dei sintomi lievi, devono poi recarsi all’Asl per rifarlo. Sono tanti i racconti di cittadini che, già con la certezza di essersi contagiati, hanno l’obbligo di recarsi nelle postazioni predisposte dalle Asl per effettuare un nuovo tampone, l’unico considerato valido dalle strutture sanitarie pubbliche. Di questo paradosso ne parliamo con Piero Di Tommaso, medico di base in trincea, che svolge il suo lavoro a San Cipriano d’Aversa e deve fare i conti, come tutti i suoi colleghi, con i ritardi e le anomalie di un sistema sanitario in tilt per l’ondata di Covid-19.
Sulle persone positive, e magari sintomatiche, che devono recarsi all’Asl, rischiando di infettare altri soggetti, per confermare l’esito del tampone effettuato in un centro privato dice: “Questo è normale per l’Asl – sostiene Di Tommaso – nel senso che chiamano i sospetti positivi e li invitano al drive-in per fare il tampone. Il test effettuato in un centro privato non ha validità burocratica, anche se al medico serve per fare la diagnosi: solo il tampone molecolare, al momento, dà la certezza del contagio. A breve, però, sbloccheranno anche gli antigenici, perché si sono resi conto che sono affidabili. Resta il fatto che il paziente il quale risulta positivo al tampone eseguito in centro privato, anche se ha dei sintomi lievi, deve poi recarsi all’Asl”.
Di Tommaso continua: “Il Covid è uno tsunami inaspettato, che ha indebolito sia la popolazione, ma anche i medici. Pertanto, dopo un’ondata del genere, ci vuole un po’ di tempo per riprendersi. Anche il medico si deve abituare a un nuovo modo di operare con i suoi assistiti. La differenza con il lockdown di marzo e aprile è che i casi oggi sono molto aumentati. Un sistema regionale abituato a gestire 100 tamponi giornalieri si è visto arrivare un mare di richieste. Non erano, dunque, organizzati e pronti per gestire una situazione che ha raggiunto i 4mila positivi. Il momento più difficile è stato tra fine ottobre e inizio novembre. Ma in questi ultimi giorni – afferma sicuro – in provincia di Caserta le cose stanno migliorando: ci sono più tamponi, i tempi sono più rapidi e ho riscontrato un’inversione della curva fra i miei assistiti. Ho più guariti che positivi giornalieri. È già un buon segno. Bisogna, però, dire che il virus, sempre in questi ultimi giorni, sembra più resistente. Anche dopo il secondo o terzo tampone il paziente rimane positivo asintomatico per lungo tempo: l’ho riscontrato soprattutto fra i più giovani”.
Il pensiero di Di Tommaso ritorna, però, ai giorni complicati, quelli in cui “c’erano persone attaccate all’ossigeno, con richiesta di tampone effettuata, ma nessuno si recava presso l’abitazione del malato. Una situazione veramente difficile da gestire, perché da un lato c’erano i familiari che, giustamente, avevano le loro pretese, dall’altro noi medici ci prendevamo le colpe dell’Asl e non sapevamo, e non sappiamo tutt’ora, neanche quali erano i criteri di priorità con cui la stessa Asl sceglieva i tamponi da effettuare”. Il medico suggerisce un modo per effettuare i test che eviti lungaggini e rischiose ‘processioni’ all’Asl. “Se a ogni due o tre medici di base venisse affidato un infermiere che sia nelle condizioni di andare a fare i tamponi nelle abitazioni sarebbe molto più facile gestire la malattia ed evitare – conclude – tutte le situazioni incresciosee i paradossi”.
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