L’estate scorsa si è sentito tanto parlare dell’invasione di cinghiali nelle nostre città, in particolare Roma, Firenze e Genova. A dare l’allarme è stata la Coldiretti in quanto la massiccia presenza di questi ungulati, oltre a essere pericolosa per le persone, minaccerebbe fortemente le coltivazioni. Da anni, la principale soluzione del governo a questo problema è sempre la stessa: la caccia.
Sembra chiaro che, in quest’ottica, i cinghiali vengano visti solo come animali infestanti che meritano di essere sterminati. Questo punto di vista viene totalmente capovolto in Il coraggio del cinghialino di Marco Vichi (Guanda, 2015).
Il cinghiale del titolo è, in realtà, un cagnolino che è stato abbandonato in un bosco perché il solo della cucciolata a non essere stato adottato. A trovarlo, tremante e spaurito, è un branco di cinghiali che, a causa del suo pelo ispido e nero, lo scambiano per un proprio simile. Col tempo saranno il muso e le zampe bianche a svelare la specie del nuovo arrivato, ma ciò non impedirà loro di continuare a crescerlo come se fosse uno di famiglia.
Quando, però, comincia la stagione della caccia, i cinghiali iniziano ad avere timore che il loro fratello adottivo possa tradirli. Questi sospetti diventano ancora più fondati quando Tartufino (così è stato chiamato dal branco, per il suo naso a tartufo) verrà portato via da un umano intenzionato a farne un segugio per la caccia ai cinghiali.
Tutto ciò che succederà da questo momento in poi costituisce la morale di una favola che intende parlare ai più piccoli, ma anche e soprattutto agli adulti, di diversità e tolleranza. Durante la lettura mi è stato impossibile non pensare al film Disney del 1981 Red e Toby nemiciamici, nel quale viene raccontato il profondo legame tra Red, una piccola volpe orfana, e Toby, un cucciolo di cane da caccia. Entrambe le storie ci insegnano che il più delle volte sono gli uomini a creare inimicizie tra specie animali che, altrimenti, potrebbero tranquillamente convivere in natura.