Il caso della partita Casertana-Viterbese, che ha scatenato le ire della società rossoblù e del sindaco Carlo Marino, ha trovato la burocratica risposta del presidente della Lega Pro Francesco Ghirelli, il quale pur dispiacendosi “a livello umano” ha ribadito che “le regole Uefa vanno rispettate”. Rimane il fatto che due calciatori dei nove che hanno giocato la partita nelle fila dei ‘falchetti’ sono risultati positivi al Covid-19 dopo i test effettuati dall’Asl poco prima del match, e “possono diffondere il virus non solo nell’ambiente sportivo, attraverso i contatti fisici con compagni di squadra e avversari, ma anche in ogni ambiente che frequentano, a partire dalle loro famiglie”. A parlare è Claudio Briganti, medico sportivo, già responsabile dell’ambulatorio di medicina dello sport all’Asl di Caserta e componente dell’equipe medica del Coni, con numerose partecipazioni nelle competizioni internazionali della Federazione italiana di ginnastica. “Non conosco – prosegue Briganti – i protocolli del calcio, che presumo siano stati rispettati, ma se l’Asl è intervenuta poco prima della partita effettuando i tamponi ai giocatori con sintomi da Covid il buon senso e la logica avrebbero dovuto far dire ‘aspettiamo i risultati’. Effettuare i tamponi e poi, subito dopo, obbligare gli atleti a giocare, oltre ad essere un controsenso, è naturalmente molto rischioso. Il tampone non è altro che la fotografia momentanea in cui si trova un soggetto, che poi risulterà positivo o negativo. Nel frattempo lo fai giocare o uscire e incontrare altre persone?”. Insomma, il calcio non dovrebbe fare eccezione rispetto a quanto previsto per i ‘comuni mortali’, che attendono l’esito del tampone evitando ogni contatto con il mondo esterno. Ora, “c’è anche il rischio – afferma ancora Briganti – di perdere la tracciabilità dei contatti. Già in questa seconda ondata abbiamo perso la possibilità di tracciare: in pratica il virus c’è scappato di mano. Se ci sono, dunque, dei sintomatici risultati in seguito positivi che hanno avuto dei contatti determiniamo ancora di più la possibilità della diffusione del virus”.
Ma per uno sportivo c’è un rischio più alto di contrarre il Covid? A questa domanda Briganti risponde che “l’attività sportiva determina sicuramente una produzione immunitaria maggiore. Lo sportivo è, quindi, più protetto dal punto di vista immunitario. Queste difese immunitarie, però, possono calare se lo stress fisico è eccessivo. Nel caso, ad esempio, di un allenamento giornaliero seguito dalla partita nel fine settimana, vengono liberate delle sostanze che determinano una diminuzione delle difese immunitarie. Il soggetto che fa sport in maniera agonistica è più esposto, quindi, a rischio di patologie, principalmente virali. Poi, naturalmente, subentra anche l’ambiente che lo sportivo frequenta. È chiaro che gli sport individuali sono a rischio Covid inferiore, rispetto agli sport di squadra. Chi fa sport – prosegue – ed è stato colpito da Covid, una volta negativo, per riprendere l’attività agonistica, oltre ai normali esami di routine, deve svolgere ulteriori accertamenti, sia dal punto di vista ematico sia da quello cardiologico. C’è, dunque, un controllo maggiore per la ripresa dell’attività fisica. Tutto questo è stato stabilito da un protocollo fra la Federazione medico sportiva e il ministero della Salute”, conclude Briganti.